Terremoto. Italia in ginocchio ma più forte di prima

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In questi giorni costellati di lutto, tra devastazione e paura e incertezze, l’Italia, ferita al cuore, ritrova la sua unità nel rendere un ultimo saluto alle innumerevoli vittime del terremoto. La nazione intera si unisce al cordoglio di tutti coloro che, in una sola notte, oltre a perdere parenti e amici, si sono visti privare di case a cui far ritorno; di monumenti, piazze, strade, punti di riferimento; di un vissuto che gli apparteneva e che era parte della propria identità.

maxresdefaultNessuno, se non chi sta vivendo questo dramma, o chi lo ha già vissuto, può realmente capire l’annientamento psicologico che tutto ciò possa comportare. Ad ogni modo, ognuno di noi cerca di adoperasi come può per dare un aiuto, per farsi carico, almeno in parte, di un fardello troppo gravoso. C’è chi porta soccorsi in prima persona, chi fornisce beni di prima necessità ai centri di raccolta, chi fa piccole donazioni. Persino la politica, tutta, da destra a sinistra, ha saputo fare la sua parte, mostrando rispetto, tacendo, evitando lo scarica barile delle responsabilità, mettendo da parte inutili promesse per limitarsi ai fatti concreti. Insomma, in questo momento tragico, ognuno di noi sembra ritrovare una dignità perduta, sentendosi parte di qualcosa che va ben oltre la propria individualità. Improvvisamente, ci si riscopre parte di un Paese che c’è, che esiste, e che amiamo.

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Amatrice. Orologio del campanile segna l’ora della scossa

 

Mentre scrivo questo articolo, è stimato a 281 il numero delle vittime ufficiali. Un numero che tende ad aumentare di ora in ora, anche a causa dei tanti feriti gravi. Sono tante, troppe, le località colpite. Amatrice, Accumoli, Campotosto, Capitignano, Montereale, Pescara del Tronto, sono solo alcuni dei Comuni più sopraffatti. Il panorama è ben più esteso e desolante. Quelle colpite dal sisma, sono intere regioni del centro Italia. E in ognuna, lo sfogo della natura ha causato morti, feriti, sofferenza e danni ingenti. Fra le oltre mille scosse registrate, quella più violenta è stata di magnitudo 6.0 che ha visto Amatrice e Accumoli come epicentro. È parso di assistere alla brutta replica di un film già visto. Il terremoto de L’Aquila del 2009 è ancora ben impresso nella mente di tutti. Cambiano il luogo e la data, ma la storia è la stessa. Vite stroncate, intimità violate, famiglie sul lastrico dalla notte al giorno, disperati che vagano in cerca di una persona cara, “fortunati” estratti vivi dalle macerie. Gente che, nell’impossibilità di riconoscersi in ciò che li accomunava – un luogo di vita comune, un centro abitato, una società – trova il proprio collettivo solo e unicamente nel dolore.

Ormai, con il passare dei giorni, la speranza di trovare ulteriori superstiti va sempre più affievolendosi, perciò, lentamente, la macchina del Sistema si rimette in moto. Si tenta di riattivare i servizi postali, le scuole. Insomma, si comincia a pensare al dopo terremoto, alla ricostruzione. Stime provvisorie lasciano intuire che, tra abitazioni, monumenti e opere d’arte, occorreranno parecchi miliardi per la riqualificazione delle località colpite.

Ad ogni modo, non voglio soffermarmi su questi aspetti. Anzi, vorrei fare un passo indietro. Estrapolare un concetto per fare una riflessione su quanto scritto all’inizio dell’articolo.

Anche se finora non l’ho espresso in modo esplicito, sono sinceramente meravigliato dalle scene di solidarietà alle quali stiamo assistendo. E ne resto meravigliato ogni volta che ciò accade. Di solito siamo abituati a vivere in una società dominata dall’indifferenza e dall’egoismo, dall’intolleranza  per il diverso, dal rancore per chi ci governa e che additiamo come unico responsabile dei nostri disagi. Eppure in questi giorni, fra telegiornali, dibattiti e approfondimenti, questo negativismo incombente sembra svanito di colpo.CqnGEg8WIAAId6N.jpg large Tutto ciò che traspare dallo schermo della tv è lo spirito di solidarietà e condivisione, una generosità innata, un senso di appartenenza comune a tutto e tutti e che, proprio perché non fa distinzione alcuna, rende tutti più forti e liberi. Chissà perché, ma è sempre e solo in momenti come questi che gli italiani smettono di essere vittime e divengono protagonisti. Ma è mai possibile che solo le tragedie siano in grado di risvegliare il nostro orgoglio nazionale? Cos’è che ci rende ciechi di fronte alla vita e che ci ridesta dinnanzi alla morte? E perché mai, nella vita di tutti i giorni, ci si scorda della propria umanità?

Reagire non basta. Dobbiamo imparare a ricordare. Ricordare che l’Italia c’è, esiste, nelle strade e nelle piazze, anche se distrutte, perché l’Italia siamo noi.